Nell’affettuosa prefazione a questo albo, Quentin Blake sostiene che L’isola schifosa sia una sintesi dell’arte di William Steig.
L’isola schifosa, William Steig, prefaz. Quentin Blake, trad. Daniela Magnoni e Mara Pace, Rizzoli, 2019
Pubblicato 50 anni fa, nel 1969, L’isola schifosa ha quella nota esplicita, sin dal titolo, di ironia e giocosità che è tratto distintivo delle opere di Steig. Lei, l’isola, è schifosa, ma i suoi abitanti non sono da meno, anzi, forse sono proprio loro, con le loro attitudini alla boria, alla prepotenza cieca, a renderla tale.
Lucertoloni squamosi e zannuti, pelosi, con due, tre paia di occhi; creature disgustose, spinose, con artigli affilati; libellule giganti e feroci nemmeno fossero barracuda. Sono schifosi non tanto per il loro aspetto, che, come sempre, è piuttosto secondario, quanto per la loro attitudine all’iracondia, alla cattiveria.
Sulle rive o tra le acque di un mare che ribolle, tra piante piene di spine, vulcani che eruttano (meglio, ruttano) fumo, si sfidano, combattono con ferocia, invidiosi l’uno dell’altro, vanitosi, senza ragione; nelle loro vene non scorre nemmeno l’ombra della felicità così come sull’Isola schifosa non nasce nemmeno un fiore.
Fino a quando un giorno, non si sa come, ne spunta uno. Bello, davvero molto bello. Dritto, carnoso, bella corolla, bei colori. E la storia si ferma negli istanti attoniti dello stupore, e poi riparte, come nella più classica delle fiabe, con una rabbia incontrollata e priva di senso, per poi volgersi in altra direzione, a dipanare matasse mostruosamente belle.
E tutto si rigenera nella bellezza, nel fine lieto. Solo una cosa resta uguale, non cambia, ed è la luminosità dei colori, che siano di un lucertolone orribilmente schifoso o di un fiore deliziosamente bello, riempie gli occhi di gioia e meraviglia.
Età di lettura consigliata: 5+
(recensione a cura di Barbara Ferraro, tratta dal sito Atlantide Kids)