IL FICO PIù DOLCE
Chris Van Allsburg
Logos, 2013
Chris Van Allsburg
Logos, 2013
Monsieur Bibot è irritante, egoista, bigio. Un dentista dedito al guadagno senza scrupoli, un uomo solo e rigido, avido. Si presenta per quello che è senza filtri, a parte quello seppia che rende ogni tavola una foto virata su toni sofisticati, non instaura nessun rapporto di empatia con il lettore, è arido eppure è un protagonista forte che coinvolge, del quale si è portati a voler conosce il destino.
D’altra parte è esattamente questo il delizioso meccanismo di fascinazione iperrealista cui Chris Van Allsburg ci ha abituati: con un uso sapientissimo dei tempi sospesi la narrazione coinvolge in qualsiasi minimo accidente capiti al pur scostante protagonista offrendo prospettive e nel lessico e nelle illustrazioni, che rendono la lettura partecipe.
Monsieur Bibot, lo dicevo prima, è un dentista. Un giorno si presenta nel suo studio una vecchina sofferente alla quale pratica un intervento d’urgenza sperando in un compenso extra. La paziente però non ha soldi per pagare, gli offre tuttavia due fichi, precisando come essi abbiano delle proprietà magiche: sono infatti capaci di realizzare i sogni di chi dovesse mangiarli. Sdegnato da questo misero compenso, e assolutamente scettico, il dentista prende comunque i frutti e li porta a casa.
A casa ad attenderlo c’è un cagnolino, Stuart, che Bibot maltratta e al quale non offre nessun tipo d’affetto o attenzione tutto preso com’è dal preservare l’ordine e mantenere la disciplina; quello tra questo padrone e il suo cane ricorda il rapporto prevaricante padrone/schiavo, che induce chi legge a disprezzare il primo e prendere le parti del secondo. A cena quella stessa sera Bibot consuma uno dei fichi, che si rivela delizioso. La mattina seguente il dentista si ritrova in situazioni surreali: suo malgrado al centro dell’attenzione di tutti perché è sceso in strada in canottiera e mutande mentre la Torre Eiffel appare ripiegata su se stessa… esattamente come nel sogno della notte precedente.
Da qui in poi il metodico Monsieur Bibot sarà tutto teso a sognare ciò che desidera per poterlo veder realizzato. Giorno dopo giorno si sforza di concentrarsi su questo obiettivo e quando, notte dopo notte, vi riesce, finalmente decide che è la sera giusta per mangiare il secondo fico. Stuart però, stanco di maltrattamenti e desideroso di rivalsa, ruba il fico dal piattino in cui Bibot l’aveva riposto e lo mangia. Da qui in poi è un rocambolesco avviarsi verso un finale che capovolge tutto: storie, protagonisti, punti di vista e sogni. Un finale sorprendente e dolcissimo di quella dolcezza dei fichi: pastosa, mai stucchevole, pungente.
Lettura imperdibile pervasa da un senso dell’ironia raro che consiglio ai lettori dai sette anni in su e, vivamente, ai loro genitori.
Monsieur Bibot, lo dicevo prima, è un dentista. Un giorno si presenta nel suo studio una vecchina sofferente alla quale pratica un intervento d’urgenza sperando in un compenso extra. La paziente però non ha soldi per pagare, gli offre tuttavia due fichi, precisando come essi abbiano delle proprietà magiche: sono infatti capaci di realizzare i sogni di chi dovesse mangiarli. Sdegnato da questo misero compenso, e assolutamente scettico, il dentista prende comunque i frutti e li porta a casa.
A casa ad attenderlo c’è un cagnolino, Stuart, che Bibot maltratta e al quale non offre nessun tipo d’affetto o attenzione tutto preso com’è dal preservare l’ordine e mantenere la disciplina; quello tra questo padrone e il suo cane ricorda il rapporto prevaricante padrone/schiavo, che induce chi legge a disprezzare il primo e prendere le parti del secondo. A cena quella stessa sera Bibot consuma uno dei fichi, che si rivela delizioso. La mattina seguente il dentista si ritrova in situazioni surreali: suo malgrado al centro dell’attenzione di tutti perché è sceso in strada in canottiera e mutande mentre la Torre Eiffel appare ripiegata su se stessa… esattamente come nel sogno della notte precedente.
Da qui in poi il metodico Monsieur Bibot sarà tutto teso a sognare ciò che desidera per poterlo veder realizzato. Giorno dopo giorno si sforza di concentrarsi su questo obiettivo e quando, notte dopo notte, vi riesce, finalmente decide che è la sera giusta per mangiare il secondo fico. Stuart però, stanco di maltrattamenti e desideroso di rivalsa, ruba il fico dal piattino in cui Bibot l’aveva riposto e lo mangia. Da qui in poi è un rocambolesco avviarsi verso un finale che capovolge tutto: storie, protagonisti, punti di vista e sogni. Un finale sorprendente e dolcissimo di quella dolcezza dei fichi: pastosa, mai stucchevole, pungente.
Lettura imperdibile pervasa da un senso dell’ironia raro che consiglio ai lettori dai sette anni in su e, vivamente, ai loro genitori.
Recensione tratta dal blog AtlantideKids.