“Sveglia! È ora di alzarsi!
”Non ci riesco, ho gli occhi appiccicati.”
“Che peccato,c’erano così tante cose da vedere oggi! Volevo mostrarti il sole che sorge, i fiori che si aprono, le formiche che si mettono in marcia…”
‘Non ci riesco, ho la testa come un macigno.”
È ora di alzarsi, Michaël Escoffier, ill. Nathalie Dion, trad. Francesca Ros, Il leone verde, 2020
Dal suo letto, il bambino resiste.
Alle sollecitazioni della madre, la quale a ogni suo diniego, alza il tiro, aumenta la posta in gioco.
A parte vedere il sole che sorge e i fiori che si aprono e le formiche, le cose che si possono fare sono molteplici e sempre più interessanti: frittelle a colazione, nascondino, passeggiata insieme fino a scuola.
E più tardi, magari cantare, ballare e urlare sotto la pioggia e poi saltare nelle pozzanghere. Soffiare sui denti di leone o disegnare gli arcobaleni e ancora dondolarsi a testa in giù dagli alberi.
Per non parlare delle cose di cui si potrebbe parlare: dirci quanto bene ci vogliamo, studiare assieme balene e dinosauri. Si potrebbe anche bisticciare, ridere, leggere e farsi il solletico.
E a fine giornata potremmo contare le stelle…
Mentre la madre sciorina questa lunga e vertiginosa lista di cose da fare, qualcosa in quel letto sta capitando: gli occhi appiccicosi, la testa come un macigno, le gambe rigide come legno e poi molli come batuffoli di cotone lentamente stanno dando cenni di movimento.
Con un piccolo aiuto forse quel bambino riuscirà a non dover rinunciare a tutto questo. Salvo poi…
Piccolo, ben fatto e arriva dal Canada
Un topos non esattamente nuovo o rivoluzionario – tirar giù dal letto un bimbetto che non ne vuol sapere – eppure costruito con cura e intelligenza, sovrapponendo diversi strati di materia che lo rendono, a suo modo, complesso e articolato e nello stesso tempo di immediata comprensione.
D’altronde, di rado Michaël Escoffier sbaglia il tiro.
Se lo si scompone si vede subito che lo strato più superficiale è dato da una trama immediatamente percepibile e riconoscibile da grandi e piccoli che si costruisce su un conflitto in alcune case addirittura quotidiano: alzati! no!, ovvero la conferma e la smentita del ritmo circadiano. Con colpo di scena finale, alla Escoffier!
Gli altri strati sono interscambiabili e qui messi in elenco senza un ordine gerarchico che ne determini maggiore o minore importanza. Il fatto importante è che ce ne siano così tanti in un oggetto apparentemente così semplice.
Secondo strato: il ritmo, che si presenta regolare esatto e ripetuto
Circostanza quest’ultima graditissima agli ascoltatori più piccoli, che entrano immediatamente nel gioco dell’attesa di una riproposizione, il ripetersi di un frame già conosciuto, ma nello stesso tempo nuovo. Per intenderci, lo schema e il ritmo su cui è costruita la fiaba dei Tre porcellini. Qui non c’è il lupo, ma una madre che più volte torna all’attacco con le medesime modalità.
Terzo strato: la vertigine della lista
Lavorare sugli elenchi è, in ambito narrativo, una calamita a cui è difficile fare resistenza. Ha la stessa funzione incantatoria di una spirale disegnata che viene fatta girare davanti agli occhi per ipnotizzare. A tale proposito, un consiglio non richiesto è quello di leggere il saggio La vertigine della lista di Umberto Eco.
Quarto strato: il lessico
Un lessico famigliare fatto di parole semplici, ma evocative. Qui non si deve tacere la capacità di Francesca Ros che va applaudita, se non altro per quel verbo bisticciare, così perfetto e raro. A lei va anche il merito di aver saputo mantenere anche in italiano il dialogo alto e leggero allo stesso tempo.
Quinto strato: il senso del tempo che passa
Silenziosamente Escoffier attraversa l’arco di un giorno, e Dion dietro, semplicemente alludendo a una implicita scansione: dal sorgere del sole al contare le stelle. A questo aggiunge una trasversalità meteorologica, ovvero quella giornata è attraversata da una pioggia, cui spetta il merito di far apparire ancora più allettante la proposta di scendere da quel letto.
Sesto strato: il passaggio repentino da un registro all’altro
Da quello avventuroso -dalla scoperta, all’esplorazione al gioco- a quello affettivo -fatto di abbracci e intimità casalinghe.
Settimo strato: il senso ultimo della storia
Ovvero nella vita e negli affetti spesso ci si trova di fronte a piccole battaglie, che possono essere vinte con strategia, ma soprattutto usando la forza della parola. Meglio se è l’ultima!
Ottavo strato: il dialogo stretto tra testo e immagine
In perfetta armonia, si capiscono al volo. Spesso è il disegno a gouache di Nathalie Dion che crea significato laddove il testo tace per non rischiare di cadere nella retorica e nella sdolcinatura. In questo senso la madre è quasi sempre vista in porzione, solo una volta il suo viso coperto dai capelli fa la sua apparizione. Le mani, sineddotiche, sono invece onnipresenti. Brava e intelligente.
Nono strato: dire senza parlare
Dal disegno si apprende che esiste una voce fuori campo, quella della madre, e un assoluto protagonista in scena, il bambino. Con la cura che caratterizza questo libro, la sua voce è scritta con un lettering ad hoc.
Dal disegno si apprende, molto di più che non attraverso le parole, che la pigrizia sta cedendo il passo alla voglia di alzarsi. Da una faccia sotto il lenzuolo di partenza, lento esce un occhio, quindi un torace, poi un piede, quindi dalla posizione supina si passa a quella seduti con testa ciondoloni e poi e poi e poi…
Età di lettura consigliata: 4+
(recensione a cura di Carla Ghisalberti, tratta dal blog Lettura candita)