PROBLEMI PINGUINI
Jory John, Lane Smith (trad. Beatrice Masini)
Rizzoli, 2017
Il libro non è nemmeno cominciato e lui è già lì che si lamenta dalla bandella della sovraccoperta, è lì che si piange addosso. Un pinguino a cui poco importa del mondo che lo circonda, un pinguino che vede solo problemi, un pinguino che ha il sonno leggero.
Se dovessi riassumere: un pinguino depresso.
Sdraiato su una collinetta di neve, non ha voglia di aprire gli occhi, è infastidito dal resto della colonia, ha freddo, gli dà noia la luce, odia la neve, trova l’oceano troppo salato. Cacciare per lui è faticoso oltre che pericoloso. Vorrebbe non dondolare quando cammina, vorrebbe saper volare e non ci riesce. Vorrebbe non essere lui e non essere lì. E’ convinto nessuno lo ami e che nessuno si accorga di quali e quanti siano i suoi problemi.
Tra un lamento e un piagnisteo si inserisce un tricheco che ‘inceppa l’ingranaggio’, semplicemente pronunciando un asettico ‘Buon pomeriggio’ e, a seguire, sciorinando una serie di frasi di circostanza, tipo, ma guarda come è bello il mondo, ma guarda che gli altri ti vogliono bene, ma guarda che capita a tutti di avere un momento difficile, ma guarda che il tuo posto è questo qui…
Il pinguino, scomparso il tricheco, è infastidito ma anche colpito da ciò che ha appena ascoltato. Riprende il cammino e tra sé ammette che poi le montagne e l’oceano e la sua colonia non sono poi tanto male. E forse – dopo tutto – le cose andranno meglio.
Ecco, se il libro finisse qui, lo avrei riappoggiato sul banco della libreria e lo avrei dimenticato come mi capita di fare con i libri inutili… ma c’è un’ultima pagina, un’ultima frase del pinguino che riaccende in me l’interesse per questa storia con figure. Con belle figure. Non le migliori di Lane Smith, comunque.
A Jory John riconosco due cose. La prima: il suo senso dell’ironia fuori dal comune e ‘maledettamente adatto’ alle mie corde (molto simile per asciuttezza a quello di Klassen); la seconda: è un autore che non cerca un interlocutore privilegiato o ideale. Attraverso l’immagine e il poco testo, nel formato del picture book, scava con lama pungente e tagliente le debolezze dell’umanità (e sto pensando ai libri a quattro mani con Avery Monsen).
A lui preme raccontare e non molto altro.
A ogni lettore il compito di cogliere ciò che sarà in grado di cogliere.
E va bene così. Basta saperlo.
Libri come Buonanotte! (o come Come on, Already! della stessa serie) mettono insieme grandi e piccoli a ridere della petulante oca che si mette di traverso nella vita dell’orso.
Qui in Problemi pinguini i bambini forse rideranno un po’ meno sentendosi leggere la storia, mentre gli adulti, mi auguro, ne coglieranno il sottilissimo senso ultimo. I bambini si compiaceranno, invece, dei pinguini in schiera che ha disegnato Lane Smith e forse penseranno che le loro giornate storte rassomigliano a quelle di quel pinguino lagnoso. E finirà lì.
Chi davvero da questo libro ne trarrebbe buon frutto, sarebbe invece una categoria ‘insospettabile’: gli adolescenti. Ed è per questo che non mi farei scrupolo alcuno a portarlo in una scuola media per mettere sul tavolo di discussione ‘temoni’ come la consapevolezza di sé, la convivenza con il proprio malessere.
Il fatto di usare un medium tanto insolito, se da un lato li infastidirebbe, dall’altro li destabilizzerebbe, aiutandoli forse a prendere la giusta distanza per valutare al meglio ‘la questione’.
Io ci proverei.
Di sicuro il ‘paginone’ contenente il consiglio un po’ sbrigativo e moraleggiante andrebbe a lungo discusso, ma prima ancora nel pinguino che non si piace, nel pinguino che si sente a disagio nel luogo dove vive, nella relazione con gli altri, ci sono un bel po’ si spunti di discussione.
Se in Italia il libro è stato praticamente ignorato (nel web in particolare), non è lo stesso negli Stati Uniti dove forse la maturità nei confronti del picture book è maggiore. E credo di non sbagliarmi troppo se tengo conto anche del fatto che Jory John è stato a lungo attivo dentro una delle più interessanti esperienze di sostegno di bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni con minori opportunità, la 826 Valencia, di San Francisco.
Non credo sia un caso.
Jory John – come Klassen o come Mac Barnett per citarne solo due – appartiene alla felice categoria di autori che vanno dritti al sodo, in qualche modo ‘scomodi’, che lasciano perplessi i lettori un po’ convenzionali e distratti, insomma quelli che il libro lo sfogliano, ma non lo leggono.
Età di lettura consigliata: 5++
(recensione a cura di Carla Ghisalberti, tratta dal blog Lettura candita)