L’IDENTITà. Milan Kundera. Adelphi, 1997.
Vi sono situazioni in cui per un istante non riconosciamo chi ci sta accanto, istanti in cui l’identità dell’altro si cancella, mentre, di riflesso, dubitiamo della nostra. Solo Kundera poteva trasformare una percezione così segreta e sconcertante in materia romanzesca – e farne uno dei suoi libri più dolorosi e illuminanti.
«Di questo ultimo libro, intiepidito dalla luce rosea della vecchiaia, posso dire soltanto una parola: è perfetto. Non c’è personaggio, episodio, immagine, parola, spazio bianco, virgola: non c’è luogo dell’incantevole intreccio che sia segnato da una minima ombra. Nessuno scrittore, oggi, ha l’eleganza di Kundera: la sua naturalezza; il suo tocco delicato e sovrano» (Pietro Citati).
Che aggiungere alla quarta di copertina e, soprattutto, all’efficace cammeo di Citati? Solo la sensazione – pervicacemente rimasta dopo la lettura, anche a distanza di tempo – di essere stati dolcemente accompagnati sull’orlo dell’abisso e di averne percepito l’ipnotica e terrificante immensità.